Quando la Juventus ha paura del Pescara

di Gianni Brera

Tra Principi Protettori e Napoleone a Waterloo. Tra la Ghisolfa e l'Himalaia. Tra Grosse Berthe e donne di servizio. Così El Gioânn introduce alla 3ª di campionato, rammentando "che la Nemesi non è un’invenzione di comodo: per i greci era dea minore; per noi, Eupalla è sua stretta congiunta: e fatalmente se ne ricorda". 

Succede alla III di campionato, che si celebra oggi: per la primissima volta nella sua storia, del resto giovane, il Pescara figura in testa nella gerarchia delle partite domenicali. Ha 4 punti - dopo 2 incontri - e visita la magna Juventus, che ne ha 2 soli. Lo scanzonato Galeone veleggia verso Torino promettendo spettacolo, che è forse il modo più subdolo di presentarsi e fare pretattica. "Se perdiamo" conclude filosoficamente "ci resteranno gli applausi". Bellissima consolazione sportiva: però falsotta. A ricevere i primi della classe, una squadra che per ora è soltanto ricca di carisma societario. Lo stesso Principe Protettore, parlando di finanza, ha escluso che l’acquisto di azioni della Juventus costituisca un buon affare. Non va allo stadio perché la Juventus non gli piace: ma chi è stato - ci si chiede - a metterla insieme? Marchesi preoccupa gli amici (quorum ego): esordisco a "Dovere di Cronaca", diretto da don Guillermo Zucconi, con una metafora per niente bislacca: che se tu dai a un grande stratega quale Napoleone un esercito di procaccia claudicanti, ogni giorno vuol essere Waterloo. Fino a dimostrazione contraria, insisto nella valutazione della Juventus fornita super chartam durante l’estate: Magrin sta a Platini come la Ghisolfa all’Himalaia. E il resto in proporzione, con qualche risatina all'indirizzo dei romanisti che contestano Manfredonia. I gobbofili più appassionati accusano Boniperti di voler sempre mettere fuori i satanassi con un minimo di carattere indipendente. Adesso che è quasi tutta di yesmen, la Juventus piace a lui solo. Comunque, non ha ancora sparato tutti i botti di cui dispone. Rush è la Grosse Berthe del Galles: vediamo di non lasciargli mancare i rifornimenti. Se non è caricato a dovere, un cannone non spara.

Le partite che seguono Juventus-Pescara (somma di punti 6) sono Avellino-Roma e Sampdoria-Verona (s.p. 5). L’Avellino ha rimediato a Verona un solenne scaldone: ma Vinicio pareva addirittura scandalizzato nel constatare che i veronesi erano un po' raffermi dopo Stettino: pensa te se fossero stati freschi! È il rilievo tecnico più interessante. Osvaldo Bagnoli si conferma di anno in anno una solida colonna della scuola lombarda e italiana. L’Avellino è pessimo cliente sul verde grasso del Partenio. La Roma dovrà sbattere per non affondare in quel verde (eufemismo) fino alla caviglia. Liedholm annuncia il rientro di Collovati e lascia capire che il ruvido pragmatismo di Desideri si fa preferire alle invenzioni piriche di Conti (ahimè, ahimè). Voeller, pur mo' spremuto in patria, dovrebbe andar oltre l’umano per goleare anche al Partenio. L’ineffabile Boskov si confessa dubbioso (ma sempre con la massima bonomia) fra il geniale nanismo di Salsano e la possa normotipica di Bonomi. Rientra Cerezo e si pone alle spalle di Vialli, i deludenti dioscuri di Pisa: là dove qualche benevolo amico ha visto una Italia del tutto immaginaria nel primo tempo, così da potersi consolare della gnàgnera sofferta nel secondo. Decisamente, il migliore degli azzurri è stato Gomes. Tornando ai nostri montoni, è sintomatica l’ammissione del bergorusso Vierchowod: "Debbo essere invecchiato: è la prima volta che un centravanti mi fa tripletta" e naturalmente alludeva al giovane Polster del Torino. Mi sembra che il tempo inclini al piovorno. Sento spirar maccaia, indice del tuo nume. Pacione e Larsen gli arieti di Bagnoli, che predilige il calcio all'italiana. Qualche pignolo pensa al confronto teutonico fra Briegel e Berthold. Bagnoli ripete con Berthold i criteri con cui rigenerò Briegel lungo l’out sinistro. La partita promette meraviglie. Nelle ricorrenti insanie della Samp, la giornata si annuncia positiva (secondo i grandi numeri): non può sempre andar male.

Gianfranco Matteoli
Un Napoli riluttante sul campo minato di Pisa: il Real sta per presentarsi al San Paolo: può darsi che Bianchi voglia rendersi conto dello status psicofisico di Careca e Carnevale. Giordano passa mano. Le digressioni in provincia, prima di incontri decisivi di Coppa Campioni, sono estremamente pericolose. Lo sa Anconetani, vecchio esperto di lizze pedatorie. All'altezza di Pisa-Napoli deve situarsi Inter-Empoli (s.p. 4), che l’anno scorso aprì il campionato con una delle sorprese più squillanti. L’Empoli ci ha rifatto giustiziando la Juventus, greve di ruggini e ciucca di sole. L’Inter a sua volta si è ripetuta con il Pescara. Il Trap annuncia il rientro di Serena, invocato da tutti, perfino dai compagni. Qualcuno gioca sugli equivoci ponendo strani aut aut fra Piraccini e Matteoli. Sembra sospetto che non si ricordi la maglia azzurra del piccolo centrocampista sardo. La fisionomia dell’incontro si può disegnare come usa il mio amico Ros Galimi con le clienti che gli affidano il naso (da rifare). La presenza di Serena dilata le probabilità di gioco aereo sotto misura. Indispensabile rompere il ghiaccio per adagiarsi su schemi più ragionati e validi: che se troppo si spreca, poi si paga.

La conferma di Inter-Pescara è venuta da Milan-Fiorentina, come è vero che è sempre più facile difendere che attaccare; e che la Nemesi non è un’invenzione di comodo: per i greci era dea minore; per noi, Eupalla è sua stretta congiunta: e fatalmente se ne ricorda. Bello come il Verona deve considerarsi il nuovissimo Torino, che Mario Gerbi ha fiduciosamente affidato a Luis Radice. Polster e Gritti si avventeranno alle coronarie già inquiete di Costantino Rozzi. Castagner baderà a evitare i danni maggiori. La saggia Fiorentina di San Siro si ripresenta ai suoi devoti in vesti differentissime. Dovrà far gioco affrontando il Como e correre i suoi rischi. Ha costruito con il Milan qualcosa come 4 palle-gol concedendone sette-otto. Nel costruire ha avuto spazi così comodi da riuscire scandalosi agli occhi degli onesti. Arrigo Sacchi ha raccolto le critiche con lo spirito d’una donna che fu per anni a servizio in casa mia: se le rimproveravi qualcosa, lei rispondeva: "Appunto", come a dire: d’accordo, così è: e pareva che i rimproveri li facesse lei. Arrigo Sacchi ha lasciato cianciare i titolisti fermi sul tridente o sul bidente (fuori Virdis, fuori Van Basten, Gullit avanti, Gullit a centrocampo). Tutte pregevoli musse. Con tre punte stabili non gioca più nessuno. Virdis andrà più forte quando il fango rallenterà gli altri. Van Basten si è trovato tre volte su una palla-gol e una l’ha costruita per Gullit. Il quale ha classe, genio e sregolatezza, ma nell'ossatura della squadra non deve né ha bisogno di entrare. La squadra si fa con centrocampisti e difensori. Se non avrà l’aiuto di Donadoni e Massaro, Ancelotti non reggerà; e ancor meno Baresi II, che rientra in linea (ahimè sì) con Filippetto Galli. Cesena-Milan è l’ultima partita in gerarchia (zero più 2): non credo che il Milan si sia trovato altre volte in simili peste: eppure, se Arrigo Sacchi non lo blocca su rigide equidistanze, può anche peggiorare. L’ipotesi è così sgradevole da indurmi a toccar ferro. Buona domenica.

"La Repubblica", 27 settembre 1987