Il grande vuoto dietro Napoli

di Gianni Brera

Un Gioânn in gran spolvero loda i "crismi tecnico-tattici" del Napoli radiosamente in testa alla classifica, ma ironizza sulla provocazione del pubblico partenopeo di non usare petardi e ricorda il San Paolo come "un botto continuo: gente di perfettissimo appiombo borghese si alzava ogni poco e sparava compunta il suo razzo con pistola molto simile alla Very: che se avessimo tirato con tanta convinzione in guerra, poco poco avremmo rioccupato le terre costituenti l’Impero di Traiano. Adesso i napoletani fanno come le vecchie mondane passate al buon Gesù". Del derby della Madunina visto a San Siro si stupisce che alcuni colleghi ne snobbino il livello del gioco: "in verità vi dico che il calcio prodotto dalle due milanesi era di notevole dignità: giudicarlo così male era segno di incoerenza critica: e che, vedono sempre giocare gli angeli, quei fortunati?". Benchè la ricerca esasperata del fuorigioco gli consenta l'ennesima stoccata ad Arrigo Sacchi: "ciascuno professa le proprie ideologie, pedatorie e no: le mie privilegiano i reparti bloccati su equidistanze indefettibili: meno corre la gente e meno si stanca. Il campionato è lungo: e purtroppo si corre anche per conservare il posto, non solo per conquistarlo". La chiosa è benaugurale: "Buon Natale, buona fine e buon principio d’anno. Felicemente espulsi dagli stadi, esplodan botti a dir la nostra gioia".

Celebrata la XII, tutti sgomenti a notare che il Napoli sta mantenendo un ritmo superiore a quello della prodigiosa Juventus che vinse con 51 punti davanti a un prodigioso Torino (50 punti). Mancano tre giornate al giro di boa: il Napoli può addirittura doppiare a 27: e mi ricorda il giovane Mario Pugliero di "Tele Arena" che un certo anno, avendo doppiato la Juve a quota 26, io titolai sul "Giorno": adesso può solo morire di sé medesima. Infatti, crepò per istrada come una cavalla troppo generosa: e finalmente vinse il Torino di Luis Radice il grande. Ma tu vedrai che Bianchi, capace di maneggiare le statistiche, provvederà a non fare tutti i 6 punti in palio: così doppierà per il ritorno a una quota più ragionevole... Piacere di raccontarcela con le musse (che sta per fanfaluche).

20 dicembre 1987, Stadio San Paolo, Napoli
Nonostante trascorra "intere notti in preda alla nostalgia",
El Pibe lo infila anche in campo (qui il 41° in Serie A)
Il Napoli vive giorni radiosi. Uno striscione precisa ai veronesi che si scrive Napoli e si legge civiltà. Mio padre direbbe che fanno latte anche le galline (e in Brianza: anche i gelsi fanno l’uva: anca i moron fann l’uga). Però è molto bello che nella patria del tricchetracche non si spari neanche un petardo. Dev’esser stato il Dio degli eserciti a promuovere tanto miracolo. Io sono al ricordo d’un milanista e d’un guardalinee centrati e bruciacchiati: lo stadio era un botto continuo: gente di perfettissimo appiombo borghese si alzava ogni poco e sparava compunta il suo razzo con pistola molto simile alla Very: che se avessimo tirato con tanta convinzione in guerra, poco poco avremmo rioccupato le terre costituenti l’Impero di Traiano. Vedi miracoli d’uno scudetto conquistato con tutti i crismi tecnico-tattici. Adesso i napoletani fanno come le vecchie mondane passate al buon Gesù. I veronesi hanno preso botte fuori e dentro lo stadio. L’arbitro ha molto sentito il carisma: Maradona e Bagni si sono fatti sentire a lor volta. Maradona - riferiscono i maligni - trascorre intere notti in preda alla nostalgia. Schopenhauer Bagnoli ha rifiutato qualsiasi commento a una partita largamente perduta in partenza. Ha protestato il solo Chiampan per un gol ingiustamente annullato a Berthold. Non poteva alzare le spalle anche lui, con il rischio di passare per menefreghista.

Grande prova di sé ha dato la Sampdoria a Torino con la Juve. Ha subito preso un gol su incornata di Cabrini ed ha poi rimontato a tutta grinta. Boskov ha deplorato che non si fosse vinto. Troppa grazia, sant’Antonio! È vero però che uno schioccante palo di Bonomi ha fatto le veci di Tacconi, peraltro grande (bon de lappa, il nostro, ma anche buono di fare il suo mestiere). Marchesi ha diretto Bizzotto dalla tribuna d’onore, dove ha sentito i complimenti di don Giovanni (state contente umane genti, al quia: rifaremo la squadra e cambieremo tutto). Gli stessi bianconeri si sono dovuti esprimere al meglio sui loro ospiti. Il solo Brio ha avuto dialoghi concitati con Vialli, che saggiamente ha evitato di deplorarlo (l’ha fatto Mancini, il dioscuro, contabilizzando calci e gomitate sui denti). Poiché Paolo Casarin non ha rilevato le proterve drittate di Brio, a rimetterci è stato il massaggiatore dei liguri, che ha inveito alla sua brutalità. Paolo Casarin l’ha sentito ed espulso.

Ho assistito come dovevo al 203° derby di Milano. Sulla carta, a ospitare era l’Inter, che ha perso altri 2 punti in media inglese. Zenga ha combinato un’amara fotta a sé ed alla squadra uscendo di porta senza chieder palla a Ferri, in vantaggio d’un paio di metri su Gullit: Ferri ha supposto troppo di sé e della propria classe indirizzando di capa verso la porta: il rischio è sempre grande: lo sfidano i campioni sicuri di sé: ma se proprio sono campioni, evitano di correre quei rischi. Sul mio orologio erano trascorsi 3’20" dall’inizio: andar sotto d’un gol a quel disgraziato modo è scalogna marcia. L’Inter ha duramente scontato la disgrazia: è da stupire anzi che il Milan non l’abbia travolta. E che non sia stato maramaldo è per me buona cosa. Lo stacco era di almeno tre gol. Avuto il dono, il Milan ha solo colpito la traversa con un gran tiro di Donadoni da fuori. Con vivo stupore ho sentito colleghi snobbare il livello tecnico-estetico del derby: in verità vi dico che il calcio prodotto dalle due milanesi era di notevole dignità: giudicarlo così male era segno di incoerenza critica: e che, vedono sempre giocare gli angeli, quei fortunati? Il Milan ha corso molto ottenendo pochino nel primo tempo, e nel secondo ha un po' mollato i pappafichi: al punto che la volenterosa Inter non avrebbe demeritato il pareggio. Ha bensì avuto le palle-gol per conseguirlo, ma le ha ignobilmente sprecate.

Un "certo Mandorlini" (Andrea)
Due volte si è liberato al gol certo Mandorlini, di professione terzino d’ala sfruttato (malaccio) come jolly. Il fatto che Mandorlini si sia liberato due volte (e un paio anche Ciocci, agile e astuto) sta a indicare i rischi del gioco sull’offside. Nessun dubbio che Sacchi stia dando ottime prove di comando e di guida, ma per vecchia esperienza io so che il gioco dell’offside va praticato con molta misura: se lo si ricerca troppo spesso, i difensori vengono a stancarsi come e più delle punte chiamate a scattare in profondità. Pare che gli interisti - particolarmente duri di cervice - si siano lasciati uccellare sedici volte: ma quando il giochetto sull’offside non è riuscito, si sono liberati davanti a Galli i più strani e impensabili attaccanti di questa terra. Ovviamente, ciascuno professa le proprie ideologie, pedatorie e no: le mie privilegiano i reparti bloccati su equidistanze indefettibili: meno corre la gente e meno si stanca. Il campionato è lungo: e purtroppo si corre anche per conservare il posto, non solo per conquistarlo. Osservando l’Inter si è finito di constatare che Scifo è elegante e frivolo la sua parte: molti dribbling (e calci sulle caviglie) avrebbe potuto risparmiarseli. Quando non si collabora a riconquistarla, perdere una palla significa rendersi colpevoli di fronte ai compagni. La difesa dell’Inter ha persino retto al malinteso dannato dell’autogol: soltanto l’ineffabile Altobelli ha rischiato di penalizzarla mandando a rete Donadoni (pensa te!). Molto ingiuste, ad ogni modo, le invettive contro Lanese. La coscienza deve aver consigliato a Zenga di tornar a firmare per l’Inter. La cosa rallegra gli onesti. Nessuno può negare tuttavia che la squadra vada rinnovata per almeno 4 undicesimi (e sono generoso assai). Sacchi è partito senza Virdis, che verrà più utile quando i terreni di gioco favoriranno i mediatori. Il ritmo del Milan ha sopraffatto l’Inter fino a farci stupire che non sia andato oltre la miseria d’un auto-gol. Il pittore Perelli Cippo, che ha trascorso anni in Olanda, giura sulla classe di Ruud Gullit, che ha provato ad eccellere in tutti i ruoli, escluso forse quello del portiere. Visto che capitan Berlusconi medita di accogliere Borghi quale terzo straniero, due saggi come il commodoro Ballarin e Mimmone Ferraro consigliano a Pellegrini di acquistare subito Reijkard. Auguri. "Per fa' vegnì la gent - soleva dire il povero e caro Giuseppe Alberti - che voeur i negher" (ma lui si riferiva agli Owens e ai Johnson di turno).

Galeone ha offerto intrepide fiancate ai romanisti, che gli hanno mollato addosso grappoli di siluri. L’Ascoli ha malmenato la Fiorentina inducendo Eriksson a rimpiangere il Benfica. Como e Torino mi hanno riempito di soddisfazione e il Cesena (fino alla Caf) ha addirittura acchiappato l’Inter a quota 12. Chiudo qui augurando Buon Natale, buona fine e buon principio d’anno. Felicemente espulsi dagli stadi, esplodan botti a dir la nostra gioia.

"La Repubblica", 22 dicembre 1987

12ª giornata

20 dicembre 1987, ore 14:30

Gianluca Vialli soffre il rude contrasto portato da Sergio Brio
Allunga ancora il Napule in testa alla classifica! Al San Paolo fa cinque reti (una anche nella propria porta per gran 'cabezazo' di Bagni) al Verona: Maradona (alla 100ª in Serie A) si concede il lusso di segnare (il 41° gol in Italia), fallire un rigore e uscire anzitempo per un dolorino alla coscia. Impressionanti, i campioni d'Italia, in 12 partite, hanno lasciato solo tre punti per strada (a Roma, a Como e a San Siro con l'Inter). Un Verona rimaneggiato, in gita sul golfo, si inchina infine al duemillesimo gol del Ciuccio in Serie A (piede di Bruno Giordano). La Samp, invece, non coglie più di un punto a Torino contro Madama, e se ne duole, perché le occasioni le hanno avute i suoi prodi e i bianconeri possono ringraziare i pali e i ... piedi di Porthos Tacconi. Con una roboante cinquina al Pescara di un Galeone inabissato, la Roma sale nuovamente al secondo posto in classifica, dove era stata fino alla 7ª  giornata: ma andranno attesi test più attendibili. Il Milan si aggiudica il derby di Natale applicando ferocemente la tattica del fuorigioco e del contropiede, che Arrigo Sacchi si ostina adesso a chiamare "ripartenza"; Ferri e Zenga cucinano una frittata già al terzo minuto, e la partita si mette in salita per i nerazzurri, che combinano poco e rischiano tanto. I rossoneri attendono dunque a San Siro, alla ripresa dell'anno nuovo, i campioni del Napoli: se non accorceranno le distanze rischiano di rimanere tagliati fuori. Inaspettatamente il Cesena raggiunge l'Inter al sesto posto, conquistando un punto a Empoli all'ultimo minuto con un bell'affondo di Ruggiero Rizzitelli, che fa il paio con la bella serpentina con cui Enrico Cucchi aveva segnato il vantaggio dei locali: che restano all'ultimo posto della classifica. Sale invece l'Ascoli, che affonda una Fiorentina alla sua terza sconfitta consecutiva e in grave crisi di gioco: magia di Casagrande sul secondo gol, da vedere. Partita vivace in riva al Lario, ma reti bianche alla fine e il Como non riesce a superare il Torino in classifica. Nemmeno il Pisa riesce ad approfittare del turno casalingo contro l'Avellino e si lascia impattare dai Lupi. Che però giacciono pericolosamente sul fondo del tabellone. Arrivederci al 3 gennaio!

Risultati

Ascoli - Fiorentina 3:0 | (1:0) - Tabellino - HL
Como - Torino 0:0 | (0:0) - Tabellino - HL
Empoli - Cesena 2:2 | (2:2) - Tabellino - HL
Inter - Milan 0:1 | (0:1) - Tabellino - HL
Juventus - Sampdoria 1:1 | (1:0) - Tabellino - HL
Napoli - Verona 4:1 | (2:1) - Tabellino - HL
Pisa - Avellino 0:0 | (0:0) - Tabellino - HL
Roma - Pescara 5:1 | (2:0) - Tabellino - HL

Classifica

21 Napoli
17 Roma
17 Sampdoria
16 Milan
13 Juventus
12 Inter
12 Cesena
11 Verona
10 Ascoli
10 Fiorentina
10 Torino
10 Pisa
10 Pescara
9 Como
5 Avellino
4 Empoli *
* 5 punti di penalizzazione

Prossimo turno (3 gennaio 1988, ore 14:30)

Avellino - Ascoli | Cesena - Pisa | Fiorentina - Roma | Milan - Napoli | Pescara - Como | Sampdoria - Inter | Torino - Juventus | Verona - Empoli

Un campionato senza cuore

di Gianni Brera

"Mortificato" è l'aggettivo ricorrente nel commento di Gianni Brera alle violenze perpetrate dai "facinorosi" negli stadi italiani. E' un calcio che comincia davvero a non piacergli più, troppo lontano da quello che egli aveva narrato, contribuendo a renderlo popolare agli appassionati, tra gli anni cinquanta e settanta. Ficcanti un paio di osservazioni: i "bombardieri finora si sono prodotti solo ai danni di grandi squadre"; "forse è semplicemente una constatazione che esista una vera e propria internazionale del terrore negli stadi: una organizzazione che, facendo a sua volta del terrorismo, tende a destabilizzare la vita civile e politica in Europa".

I miei benigni lettori sanno che mi sono sempre rifiutato alla retorica (tale io la consideravo) della violenza negli stadi: sia perché non ci credevo, sia perché pensavo che, parlandone, regalassimo la patente di protagonisti ai facinorosi: i quali si sarebbero sentiti autorizzati a fare anche peggio. Oggi debbo rifarmi, allarmato, deluso, mortificato a quanto hanno creduto di capire i belgi, processando i delinquenti dello Heysel: che esisterebbe una vera e propria internazionale del terrore negli stadi: una organizzazione che, facendo a sua volta del terrorismo, tende a destabilizzare la vita civile e politica in Europa. L’illazione dei belgi pareva grossa. Forse è semplicemente una constatazione. Fate caso a quanto è avvenuto domenica a S. Siro. Ci è arrivato anche il ventitreenne disoccupato Luigi Sacchi da Vigevano, già diffidato quale sistematico produttore di disordine. L’ingresso allo stadio doveva essergli inibito. Gli ha dato invece la tessera (!) un capoccia del Commandos Tigre. Non è salito all’anello dei supertifosi: ha lanciato il suo bravo petardo dagli spalti bassi: e non lui solo ha fatto centro: anche meglio ha tirato uno che lui conosce, un milanese (?) che poi ha tagliato la corda. Su questi elementi dovrà istruire la propria indagine l’autorità giudiziaria.

Aggiungo da parte mia che m’ha profondamente disgustato il comportamento degli ultras nel vedere steso il portiere della Roma: saltavano come ossessi, al pari di selvaggi in trionfante attesa che finisse la cucinatura dell’esploratore bianco. Ha poi finito di mortificarmi l’uscita della gente per bene, non appena l’arbitro ha potuto ordinare la ripresa del gioco. Anch’io me ne sono andato e con me era Gariney: di tutto abbiamo parlato fuorché di calcio. La partita di San Siro era stata monca. La prudente Roma non aveva attacco e badava a contenere. Il Milan non impostava abbastanza rapidamente per concludere con un po' di agio. Ha colpito una traversa con Gullit (incornata acrobatica) ed ha impegnato Tancredi con il solo Massaro. La ripresa è stata finta. Inutile parlarne. Sui bombardieri, anche questo va detto: che finora si sono prodotti solo ai danni di grandi squadre. Uscendo da Cesena, Larsen ebbe a domandare scherzosamente: "Nessuno mi lancia un sasso?". L’umorismo aiuta a capire più di qualsiasi considerazione seriosa. Ora aspettiamo di rilevare altri lanci. Manca all’appello la magnifica Samp, e ancora la Roma e l’Inter. Poi faremo la conta.

Schopenhauer
Il Napoli conserva il suo vantaggio ottimale. Secondo due diversi osservatori, avrebbe ingiustamente trionfato (si fa per dire) della Juventus. Il primo ha addirittura spropositato che "il Napoli rubò vittoria". Il secondo è del parere che Lo Bello jr. sia stato sottilmente abile nel bistrattare la Juve, certo non più protetta come una volta. Insiste il mio secondo guardone che la Juventus avrebbe potuto buscare tre pappine nei primi 15’, ma poi pian piano si è assestata: l’impiego di Mauro è stato determinante nel bene, e quello di Favero nel male. Maradona ha fatto il pallonetto del primo gol ricevendo un’incornata sbilenca di Favero: per soprammercato, Tacconi ha sbagliato l’uscita. Raggiunto il giusto pareggio da parte della Juventus, Favero ha obbedito a un raptus inconsulto smanacciando la palla che lo stava sorvolando. Maradona ha giocato un quarto d’ora al suo livello, non più. Né l’uno né l’altro dei miei informatori ha tenuto conto del fatto che il Napoli mancava di Bagni e Romano; e che l’aiuto della fortuna è la condizione prima di ogni successo sportivo. Credo invece che Lo Bello jr. ne abbia sì combinate di carine, se è vero che è riuscito a far saltare dai gangheri un uomo tranquillo come Rino Marchesi. Il Napoli naviga a +3 in media inglese; ha perso solo 3 punti sui 22 in palio (meglio dire: non ha colto) e vanta la differenza reti più straordinaria: 21 fatte, 6 prese. Il solo Milan è alla pari con la media inglese (zero) ma scenderà presto a meno 2 per via dei petardieri che ne affliggono gli spalti. La fortuna del Napoli è garantita anche dalle squalifiche appioppate alle punte del Verona. Memorabile per umorismo - nero e pragmatico - l’affermazione di Schopenhauer Bagnoli: "Se debbono togliermi le punte, meglio che lo facciano la domenica del San Paolo" ("dove possono anche non toccar palla"). È chiaro che il Verona ha smesso di dedicarsi al campionato: curerà l’Uefa per vincerla: in campionato cercherà di essere decente. Insegue 8 punti: il Napoli dovrebbe fermarsi a quota 19 (che è pure servito, in passato, a virar di boa per vincere poi lo scudetto). Non si fermerà affatto: procedendo di questo passo, il Napoli si troverebbe a finire le 30 giornate con punti 51,18: quanto dire con il punteggio-record di tutti i tempi.

La Sampdoria gioca e soffre sul campaccio che la sfortuna (e il Comune di Genova) gli hanno propiziato in questo anno fatidico. Stradivialli e Mancini hanno esaltato la leggenda dei dioscuri. L’esile Salsano ha perfino segnato il 2-0. Castagner si è virilmente inchinato ai più forti: per lui, i sampdoriani meglio di tutti. Conciato per le feste il Milan, preso nell’occhio del ciclone terroristico, la Samp rimane per il momento la sola competitrice valida dei campioni napoletani. Più fondati elementi critici avranno coloro che potranno assistere a Juventus-Sampdoria. Allora forse l’ineffabile Ian Rush darà interviste finalmente credibili ai suoi compatrioti astiosi e felli. Potrà verificarle Vierchovood, il bergorusso di Boskov. Avendo sempre guardato al prossimo con le pezze sul culo, gli inglesi non sanno darsi pace di averle anch’essi. E sbavano livore mortificando il ricordo di Mario Appelius. A noi spiace per la Juventus, mica per Ian Rush o per i suoi paesani.

Ramón Ángel Díaz
Ha sorpreso tutti, e molto sgradevolmente i fiorentini, la vittoria dell’Inter a Firenze. L’onesto Trap ha eguagliato il fair play degli inglesi, che - quando vincevano - sapevano sempre dimostrare di averne un mucchio: ha riconosciuto la sfortuna della Fiorentina. Era il giorno del pianto per P.C. Baretti, il mio caro Aristarco Scannabue. Gli ironisti d’occasione hanno rilevato che, morto lui, i suoi tifosi hanno ripreso aire. Baresi I è stato colpito con lancio improprio ma il Trap lo ha dispensato dal fare lazzi di morituro: dato il 2-1, non servivano proprio. E poi, troppo gnocchi sono i lombardi per riuscire in certe manfrine. Il conte Flavio Pontello, lui ha inveito da tifoso che paga contro Diaz e Baggio, falsi idoli ai suoi occhi.

A fare alte le quote dei vincitori in Totocalcio hanno contribuito l’Empoli, il Pisa, il Cesena e il Pescara, delle quali (squadre) diremo. Il Torino è stato uccellato da un tiro su mille. L’arbitro ha indotto i dirigenti torinisti a lagnarsi pubblicamente. Il colpevole sarebbe Gussoni, che gli arbitri bravi e no assegna a questa o quella città. Meno severi con l’arbitro sono stati i dirigenti veronesi, ai quali un pari con il Pisa, dopo la folgorante spedizione a Bucarest, è tornato quasi ovvio. Il Como è stato sottoposto a goleada sul campo del Cesena. Non aveva punte e non poteva sognarsi di far gioco. Agroppi ha messo avanti il piedino garantendo che Borghi non avrebbe fatto la differenza. L’Avellino è caduto a Pescara con onore. Si è visto lottare, questo è il guaio. Quando una squadra perde nonostante l’impegno, segno è che gli avversari le erano proprio superiori e non c’era nulla da fare. Poiché le retrocessioni saranno due, i tifosi dell’Avellino, penultimo, sono preoccupati. E sfido.

"La Repubblica", 15 dicembre 1987

Eterne violenze, eterni copioni

Franco Tancredi svenuto
Stadio di San Siro, Milano, domenica 13 dicembre 1987, ore 15:29. Al rientro in campo per la ripresa di Milan-Roma, ancora sullo 0:0, il portiere giallorosso Franco Tancredi si incammina verso la porta sotto la Sud; un petardo lanciato dal primo anello gli esplode tra le gambe, facendolo crollare a terra stordito; pochi istanti dopo ne arriva un secondo, che gli scoppia a pochi centimetri dalla faccia. Il portiere perde i sensi, mentre i medici si precipitano in campo: Tancredi ha le gambe paralizzate, è in stato di shock e viene rapidamente portato in barella negli spogliatoi, dove riprende conoscenza. Poco dopo viene trasportato all’Ospedale San Carlo, dove uscirà due giorni dopo con un’accertata ipoacusia permanente a causa della quale perderà il 30% dell’udito dall’orecchio destro. Il lanciatore dei petardi viene identificato e intercettato verso sera sul treno per Vigevano: si chiama Luigi Sacchi, ha 23 anni, è disoccupato e sostiene di fare parte dei Commandos Tigre. Confessa subito e il giorno dopo è già a casa, dove si concede ai fotografi, rilascia interviste ai giornali e compare in televisione [fonti].

Durante la settimana successiva il paese inscenò il consueto melodramma, ciascuno con la propria parte in commedia: dal ministro degli Interni, Amintore Fanfani, al presidente della FIGC, Antonio Matarrese, al presidente della Lega, Luciano Nizzola, ai dirigenti delle società, agli allenatori, ai giornalisti, ai tifosi al bar, ad Aldo Biscardi. A rileggere i giornali di allora sembra di seguire la cronaca recente: le dinamiche e le responsabilità erano già chiarissime a chi avesse volute riconoscerle, ma nulla di concreto è stato fatto nei 27 anni trascorsi.


Antonio Matarrese e Luciano Nizzola
Il martedì successivo, il vicedirettore de “La Repubblica”, Gianni Rocca, scrisse un editoriale molto lucido - Il calcio nell’arena [vedi]: “Il fiume del calcio è ormai in piena da molti anni. Nel suo alveo passa di tutto, gli argini sempre più erosi non ne contengono la furia, le alluvioni si succedono con ritmi incalzanti. Qualcuno ha cercato, bendandosi gli occhi, di non vedere, di non capire, rinviando, per timore di rompere il giocattolo, o per non ledere rilevanti interessi, i drastici ed inevitabili interventi. Quindici giorni fa, su queste colonne, lanciavamo l’ultimo dei numerosi allarmi inviati, peraltro senza successo, al governo del calcio. Ci aveva mosso non tanto l’esplosione di un petardo quanto il senso di diffusa barbarie che domenicalmente ormai promana dagli stadi. Avevamo chiesto all’on. Matarrese, e agli uomini che con lui guidano le sorti del calcio, di promuovere un incontro urgente con tutti i presidenti delle società professionistiche, perché da quel convegno partisse in modo inequivocabile non un monito generico, contro la violenza, ma un impegno preciso per modificare le regole del gioco. Prima fra tutte lo smantellamento dei club di ultras, ormai ben noti, conosciuti, e per troppo tempo coccolati, finanziati e difesi. Un’operazione, questa sì, da portare avanti in stretta collaborazione con le forze di polizia […]. Apprendiamo che l’on. Matarrese, spaventato finalmente dalle proporzioni del disastro, si è mosso. Ha chiesto un incontro col ministro dell’Interno. Un passo necessario, senza dubbio. E valido, ma ad una condizione: che il governo del calcio assicuri alle forze di polizia tutto il suo concorso, denunciando, senza omertà, quelle bande di tifosi, veri e propri racket della violenza, che ogni società calcistica continua a portarsi appresso, quasi una tangente obbligatoria da pagare per evitare chissà quali altri guai […]. Sappiamo che all’origine dei club organizzati dei tifosi c’era l’intenzione di rispondere da parte dei presidenti delle società calcistiche alla concorrenza televisiva che teneva troppi spettatori in poltrona davanti al video. E così nacquero le curve pittoresche, dapprima coi fumogeni, poi con i petardi; dapprima con gli striscioni strappacuore e poi con quelli della violenza becera, fascista e razzista. Il processo di degenerazione non venne avvertito a tempo. Così come non venne avvertito che il pagamento delle trasferte a masse di tifosi se faceva sentire l’incoraggiamento agli atleti lontani dal loro campo abituale, trasformava col tempo quei drappelli in squadre di combattimento, pronte a passare dalle aste delle bandiere ai coltelli; con dei capi che finivano per gestire, in piena autonomia, ogni tipo di vandalismo e di violenza: dagli autogrill fracassati, ai ristoranti non pagati, alle carrozze ferroviarie sfasciate. È con queste responsabilità specifiche delle società calcistiche che Matarrese, e con lui gli uomini del suo governo, debbono misurarsi e subito, senza perdere un solo minuto. Già la tragedia di Heysel aveva lanciato un segnale inequivocabile, a livello europeo, addirittura. Non venne raccolto. Eppure quello era il punto di non ritorno, la conferma che il fiume del calcio era ormai straripato e che solo l’emergenza avrebbe potuto riportarlo a livelli normali. Adesso pare si possa dire, finalmente, che siamo all’ultima spiaggia, senza essere tacciati di pessimismo moralistico. Il governo del calcio può e deve agire. Ha dalla sua quei molti che aspettano solo un segnale per ritornare negli stadi. Prenda esempio dal civile comportamento di quei quarantamila milanesi che dopo lo scoppio dei petardi hanno lasciato San Siro, disgustati per quanto avevano visto e truffati del biglietto che pure salatamente avevano pagato […]. Concludiamo queste note, con le stesse parole di quindici giorni or sono: solo uno choc può far aprire gli occhi. In caso contrario accadrà al calcio quel che sta avvenendo verso la vita politica: il diffondersi di un generale senso di nausea e di fastidio. Elettori e tifosi se ne rimarranno a casa in numero sempre crescente”.

Il giorno dopo, sullo stesso giornale, Fabrizio Bocca, descrisse lo stato delle cose del rapporto tra società calcistiche e tifoserie più o meno violente [vedi]: “Esiste uno stretto rapporto tra società e tifosi, o meglio tra società e club. Può essere collaborazione, per la maggior parte delle volte, ma sovente anche ricatto, violenza, se non addirittura connivenza. C'è un aspetto inquietante: talvolta forse i tifosi e i club servono da copertura. Per il controllo del bagarinaggio ad esempio. Questura e polizia hanno svolto spesso indagini in questo senso. Un piano di questo genere, più o meno: un dirigente della società vende un certo numero di biglietti ad un tifoso, che poi rivende davanti allo stadio a prezzi maggiorati. Il guadagno ovviamente viene suddiviso. C'è il sospetto, ma non le prove. In galera non è mai finito nessuno. Data la vastità del fenomeno tifo è certamente difficile analizzarne i rapporti con le società stesse. Una cosa è sicura, quasi tutte le società di serie A non vogliono entrare in contrasto con i propri sostenitori, ne cercano assiduamente l’appoggio, il consenso. Se questo costa centinaia di biglietti omaggio ogni domenica, poco importa. Qualcuno ha perfino codificato questa norma: al Milan vengono dati due biglietti gratis agli "alfieri" che portano gli striscioni. Altrettanto viene fatto nelle altre società. Al Napoli, ad inizio stagione, era scoppiata una vera e propria guerra. Ferlaino tentò una drastica riduzione degli omaggi. Dalla curva B, quella degli ultras, si levarono cori contro il presidente durante la partita con l’Ascoli: striscioni, offese pesanti. Tutto il resto dello stadio si dissociò da questa contestazione che comunque nelle partite successive non fu mai ripresa. Probabilmente il Napoli dovette cedere, versando altri biglietti gratis. Spesso si è parlato di scioglimento delle associazioni di tifosi […]. Quasi nessuna squadra ammette di avere rapporti con gli ultras, con le frange più estremistiche e spesso violente del tifo. Teoricamente teppisti, fanatici, picchiatori e petardari dovrebbero essere emarginati. Ma la realtà dimostra che non è così. Anche loro hanno biglietti gratis, hanno sovvenzioni per le trasferte, spesso hanno messo in piedi vere e proprie organizzazioni di carattere mafioso. Dice Franco Baribbi, presidente del Brescia: "Molti tifosi ci ricattano. Siamo minacciati: dateci i biglietti o vi sfasciamo lo stadio, facciamo invasione, spariamo mortaretti. Purtroppo spesso dobbiamo subire". Franco Baribbi parla al plurale, è evidente che ci sono altri presidenti nella sua situazione. Il ricatto in fin dei conti ha un terreno facile, basta tirare un sasso, un petardo, provocare incidenti... E probabilmente non bastano più nemmeno i biglietti gratis: ci vogliono i soldi per i fumogeni, per il treno, la macchina, lo spinello. Anche Ferdinando Chiampan lo scorso anno, dopo gli incidenti di Brescia, intraprese un lungo braccio di ferro con gli ultras. L’iniziativa fece molto discutere ma in realtà le curve non si chiusero mai. Pier Cesare Baretti, pochi giorni prima di morire, aveva chiesto invece al Centro Coordinamento Viola Club di non organizzare più trasferte per i tifosi della Fiorentina. A Cesena c’era stata una violenta sassaiola. Sono rimaste comunque voci e iniziative isolate […]. C'è chi risolve le cose a suo modo, con il peso del proprio prestigio. È il caso di Mantovani, presidente della Sampdoria. L’anno scorso dopo la scazzottata a San Siro minacciò di cedere Mancini e Vialli. Senza contare che ha poi assunto come magazziniere un ex ultras, con qualche invasione sulla coscienza (adesso è un tipo tranquillissimo...). Le associazioni dei tifosi tra l’altro si dividono, si spaccano, si fanno la guerra, per biglietti e privilegi […]. Il club non è soltanto allora un centro di passione, di hobby, di svago. È un centro di potere che nessuna squadra può trascurare. Altrimenti una società quest’anno non si sarebbe affrettata a sanare, secondo alcune indiscrezioni, il deficit della propria principale associazione di tifosi. E altrimenti l’Avellino non sarebbe stato praticamente costretto ad allontanare Luis Vinicio dalla panchina. "Lo aveva chiesto la piazza".”

11ª giornata

13 dicembre 1987, ore 14:30

Massimo Ciocci
Dopo la rondella sulla fronte di Alessandro Renica (Pisa, 3ª giornata) e il petardo sui timpani di Dario Sanguin (Torino 9ª giornata) registriamo, in sole 11 giornate, anche il petardo sulla capa di Franco Tancredi a San Siro. E taciamo di innumerevoli altri episodi di violenza dei sedicenti e cosiddetti "ultras" [vedi solo Como e Avellino]. Milan penalizzato, come suol dirsi, a tavolino e a meno 5 punti dalla capolista.

Il Napoli non gioca al meglio (mancano Bagni e Romano) ma batte la Juventus al San Paolo grazie a un rigore generoso che Lo Bello jr. assegna ai padroni di casa a tre minuti dalla fine: per il resto, un'ora di dominio e molte occasioni bianconere dopo un buon avvio dei campioni d'Italia. A parte la Roma (che riceverà il bonus dei 2 punti), solo la Samp ne tiene il ritmo: l'Ascoli è poca cosa ma, pur su un campo indecente, Vialli dispensa le sue perle di giovane campione - splendida la sua rete - e la squadra di Boskov gira che è un piacere vederla. L'Inter passa al Comunale di Firenze nel giorno del lutto per la morte del presidente della Fiorentina Pier Cesare Baretti, perito in un incidente aereo. Il primo gol è di Diaz, su calcio d'angolo, ed Astutillo Malgioglio inscena con Pierino Fanna la stessa incacchiatura che Enrico Albertosi riservò a Gianni Rivera in quel di Mexico City: con la differenza che Fanna non compenserà l'errore commesso abbandonando il palo. A pareggiare sarà il freddissimo "ex" Passarella, su rigore; a segnare il gol decisivo il giovane Massimo Ciocci, che sostituiva lo squalificato Serena. Scala la classifica il Cesena, che fa lo scalpo a una diretta concorrente per la retrocessione, il Como: il 3 a 0 finale dice tutto sul merito. Il Verona, invece, scende un altro scalino, facendosi bloccare in bianco, in casa, dal Pisa, in una brutta partita in cui giganteggia, non a caso, Carlos Caetano Bledorn Verri (in arte Dunga) tra falli, espulsioni e nervosismi assortiti. Pur "rimaneggiato" il Pescara affossa l'Avellino all'Adriatico, giocando meglio e meritandosi la posta: bellissimo il gol di Gian Piero Gasperini. In fondo alla classifica l'Empoli fa il colpaccio al Comunale di Torino con un tiraccio da 30 metri di Luca Della Scala che uccella Fabrizio Lorieri: i granata avrebbero però meritato almeno il pari, in una partita vibrante e piacevole.

Risultati

Cesena - Como 3:0 | (0:0) - Tabellino - HL
Fiorentina - Inter 1:2 | (1:1) - Tabellino - HL
Milan - Roma [1:0], poi 0:2 a tavolino | Tabellino - HL
Napoli - Juventus 2:1 | (1:0) - Tabellino - HL
Pescara - Avellino 2:0 | (1:0) - Tabellino - HL
Sampdoria - Ascoli 2:0 | (1:0) - Tabellino - HL
Torino - Empoli 0:1 | (0:1) - Tabellino - HL
Verona - Pisa 0:0 | (0:0) - Tabellino - HL

Classifica

19 Napoli
16 Sampdoria
15 Roma
14 Milan
12 Juventus
12 Inter
11 Verona
11 Cesena
10 Fiorentina
10 Pescara
9 Torino
9 Pisa
8 Ascoli
8 Como
4 Avellino
3 Empoli *
* 5 punti di penalizzazione

Prossimo turno (20 dicembre 1987, ore 14:30)

Ascoli - Fiorentina | Como - Torino | Empoli - Cesena | Inter - Milan | Juventus - Sampdoria | Napoli - Verona | Pisa - Avellino | Roma - Pescara

Coppa intercontinentale

Recente nobiltà europea e antico blasone del Sudamerica: Porto e Peñarol. Gli uruguagi avrebbero l'occasione di marcare gli anni '80 (hanno già trionfato nel 1982); la sfida, a Tokyo, sarebbe anche affascinante. Peccato si giochi in condizioni estreme. Il campo è innevato, il pallone pesantissimo. La contesa è risolta a dieci minuti dalla fine del secondo tempo supplementare da Rabah Madjer, algerino, uno che raramente segna gol banali. Recuperato un pallone sulla tre quarti, di prima intenzione sgancia un lob che atterra lento lento vicino all'angolo sinistro del portiere e, per inerzia, finisce la sua corsa oltre la riga. Peccato per il Pinerolo!

Cineteca

Coppe europee: terzo turno Uefa (ritorno)

Diego Orejuela Rodríguez, castigatore
E così, nonostante siano ben fornite di grandi (o presumibilmente grandi) assi importati, tutti gli squadroni italiani sono cacciati dall'Europa prima di Natale. Rimangono, a rappresentare il football del Belpaese, due provinciali (una, addirittura, militante in Serie B), Atalanta e Verona, che peraltro non hanno trovato finora sul loro cammino ostacoli insormontabili. L'Espanyol, dopo lo scalpo del Milan, espone quello dell'Inter. Clemente arroventa la vigilia; i nerazzurri si concedono qualche smargiassata (Scifo: "se perdiamo è come fosse finita la stagione, ma sono certo del contrario"), Trap si aggrappa alle proprie convinzioni ("rifiuto il termine ultima spiaggia. La situazione non è poi così disperata. Finora non abbiamo subito nessun avversario e siamo sempre riusciti a creare palle-gol"). Poi, sul campo, va come sempre: gli spagnoli trovano il gol appena tirano in porta (abbastanza presto, stavolta; del resto, dirà poi il Trap, "non possiamo impedire a nessuno di fare almeno un tiro in porta in 90 minuti"); e la partita finisce qui, perché inconcludente risulta la pressione nerazzurra esercitata fino al novantesimo. "Non sempre vincono i migliori. I loro giocatori sono migliori dei miei, ma non hanno un gioco", sentenzia Clemente in sala stampa.
Il Verona, a Bucarest e sul prato bianco di neve, deve solo opporre resistenza e sfruttare il contropiede. Pattinando nel vento gelido, trova anche un gol a metà del secondo tempo (Elkjaer, ovviamente); Giuliani si produce in belle parate, poi è festa anche per le centinaia di supporters scaligeri che hanno affrontato la scomoda trasferta.

I belgi che fecero l'impresa
Le vere emozioni del turno sono regalate da sfide, in apparenza, già chiuse. Memorabili ribaltamenti; il Club Brugge, bastonato a Dortmund (3:0), trascina i gialloneri all'overtime, e Leo Van der Elst perfeziona qui la sua grande serata: tripletta personale, cinque a zero, tedeschi intontiti e umiliati. Anche la vecchia Honved non riesce a 'tenere' il bel 5:2 di Budapest; giocare al Pireo (ne sa qualcosa la Juve) è difficile quest'anno, e i greci imitano le imprese del Real Madrid, insaccando il 5:1 a dieci minuti dalla fine. Anche i cechi del Vitkovice riescono a raggiungere e superare (ai rigori) il Vitoria Guimaraes, impattando lo 0:2 dell'andata proprio allo scadere. Dal canto suo, tranquillo e appagato, forte della propria forza, il Barça riesce nell'impresa di regalare agli albanesi del Flamurtari un pomeriggio da ricordare. Inutile ma storico il gol dello sconosciuto Eqerem Memushi. Infine, nel match più interessante ed equilibrato del turno, officiato da Paolo Casarin, una zampata sottoporta di Falko Götz porta il Leverkusen ai quarti.


Tabellini e (quando disponibili) riflessi filmati


Coppa Uefa - ottavi di finale (ritorno)

Club Brugge - Borussia Dortmund
Tabellino | HL

Panathinaikos - Honved
Tabellino | HL

Dinamo Tbilisi - Werder Brema
Tabellino | HL

Sportul - Verona
Tabellino | HL

Bayer Leverkusen - Feyenoord
Tabellino | HL

Espanyol - Inter
Tabellino | HL

Flamurtari - Barcellona
Tabellino

Vitoria Guimaraes - Vitkovice
Tabellino

10ª giornata

29 novembre 1987, ore 14:30

Oggi doppietta
Giornata di pareggi nei match tanto attesi, mercé anche i campi resi pesanti quasi ovunque dalla pioggia, e classifica che resta sostanzialmente invariata a un terzo esatto del torneo. Vincono solo in tre. La Juventus, in casa, contro un Ascoli che non riesce a rendersi pericoloso che una sola volta con un bel colpo di testa di Casagrande: è Magrin a risolvere con una bella punizione dal limite dell'area; così Madama aggancia il convoglio che può portare anche al secondo posto. Vince anche il Cesena, al Manuzzi, su un Verona imbottito di riserve e pertanto ancor più votato alla trincea: è la testa di Giuseppe Lorenzo a svettare in una delle non molte occasioni dell'incontro. Il Pisa invece si aggiudica il derby dell'Arno: ci mettono più rabbia e determinazione i nerazzurri, all'Arena Garibaldi: è splendida la punizione di Roberto Baggio, che i pisani contestano non aver varcato la linea; ed altrettanto bella la botta al volo con cui Davide Lucarelli regala la vittoria ai padroni di casa. Per il resto solo pareggi, a cominciare da quello di San Siro, dove il Napule e l'Inter danno vita a una bella partita, con varie occasioni, e si spartiscono equamente la posta: da un lato è Careca a incornare, dall'altro De Napoli a ... pareggiare; la Beneamata rimane però a -7. A Marassi pioggia, vento e fango rendono celibe la Roma, ancora orfana di Pruzzo e Voeller, e innocua la Samp, che gioca in dieci il secondo tempo per l'espulsione di Cerezo e ha le poche occasioni di un match rovinato sul piano tecnico dal terreno di gioco ridotto a una risaia. Ad Empoli il Milan fa la partita ma manca in fase di concretizzazione, nonostante il gran gioco, il pressing e la corsa che insaccano i padroni di casa nella loro metà campo per tutti i 90 minuti: occasione persa dai rossoneri per accorciare sulla capolista. Solo a Pescara splende il sole per un po' e forse non a caso ne viene fuori la partita con più reti: Toni Polster incrementa il bottino per il titolo di capocannoniere, Blaž Slišković segna una bellissima punizione. L'Avellino, infine, non riesce ad avere la meglio, in casa, sul Como e deve lasciargli un punto assai prezioso.

Risultati

Avellino - Como 1:1 | (0:0) - Tabellino - HL
Cesena - Verona 1:0 | (0:0) - Tabellino - HL
Empoli - Milan 0:0 | (0:0) - Tabellino - HL
Inter - Napoli 1:1 | (0:1) - Tabellino - HL
Juventus - Ascoli 1:0 | (1:0) - Tabellino - HL
Pescara - Torino 2:2 | (1:1) - Tabellino - HL
Pisa - Fiorentina 2:1 | (1:1) - Tabellino - HL
Sampdoria - Roma 0:0 | (0:0) - Tabellino - HL

Classifica

17 Napoli
14 Milan
14 Sampdoria
13 Roma
12 Juventus
10 Fiorentina
10 Verona
10 Inter
9 Torino
9 Cesena
8 Ascoli
8 Como
8 Pisa
8 Pescara
4 Avellino
1 Empoli*
* 5 punti di penalizzazione

Prossimo turno (13 dicembre 1987, ore 14:30)

Cesena - Como | Fiorentina - Inter | Milan - Roma | Napoli - Juventus | Pescara - Avellino | Sampdoria - Ascoli | Torino - Empoli | Verona - Pisa

Ecco il giorno di Milano unita

di Gianni Brera

El Gioânn prospetta la 10ª giornata di campionato come "memorabile", per alcuni scontri al vertice, a cominciare da Inter-Napoli e da Sampdoria-Roma. Il che non significa non riconoscere che la Beneamata "è nettamente inferiore sul piano tecnico-tattico e può solo cavarsi d’impaccio con l’agonismo", e che Boskov, quando "fa ariosi paragoni con il Real" per la sua Samp, andrebbe richiamato "a più pedestre realismo" ...

Il campionato celebra la X e compie il primo terzo del cammino. Due partitissime si dividono il primo posto nella gerarchia della domenica: Inter-Napoli (9 più 16 eguale 25), che è anche la sola classica in programma, e Samp-Roma (13 più 12 eguale 25). Seguono a distanza Juventus-Ascoli (somma punti 20), Empoli-Milan (18), Pisa-Fiorentina (16), Pescara-Torino (15) e Cesena-Verona (idem); chiude fieramente la marcia Avellino-Como (10). A differenza di Sampdoria-Roma, la classica di San Siro avrà anche degna cornice di folla. Milano è la seconda città campana in fatto di etnos. Gli immigrati meridionali più numerosi sono i pugliesi ma i napoletani vantano appetto loro una maggiore anzianità di insediamento. San Siro pullulerà di campani, oriundi e no, ma non di interisti veraci.

L'acromegalico
Proprio il discendente di un nonno aversano, Walter Zenga, desta patemi e sdegno nei benamanti più sentimentali. I milanesi godono fama di esser buoni commercianti ma in fatto di pedate sono ingenui fino al candore. Commercianti di naso fino sono al contrario i napoletani: e lo dimostrerebbe il fatto che Zenga sarebbe impegnato con loro fin dal marzo passato. La notizia è andata aggallando poco a poco, come per solito avviene con i pesci grossi, facili ad inanimarsi, però poi molto restii alla resa. Walter ha obbedito all’impulso immediato, che era di reazione sdegnata alla scarsa riconoscenza del datore di lavoro: si considerava pagato in misura irrisoria appetto di certi bluff che imperversavano nel clan: così ha ascoltato le lusinghe del Napoli accettando anche, a quanto pare, un congruo anticipo sulle spettanze future. Il procedimento, in sé, aveva parecchio di sgradevole nella carente deontologia dei napoletani; ma in Zenga era quasi del tutto comprensibile. Oggi che le cose non vanno bene (Zenga battuto 13 volte in sole 9 partite di campionato), i tifosi più accaniti lo accusano di tradimento. Parola grossa, giustificata solo dalle norme troppo severe e quasi sempre disattese del mercato pedatorio. Il Napoli ha finalmente capito di correr gravi rischi ed ha rinnovato il contratto a Garella. Costui, piccato, aveva preso a cippare contro Zenga com’era umano, ma, dopo tante parole, sembra oggi il solo a esprimersi in termini ragionevoli. L’acromegalico Garella è un torinese intelligente. Ha capito che le pietre stanno ormai facendo mucchio su Zenga e si è spaventato. Ha smesso pure di proclamarsi migliore, come le sole cifre - non tutte dipendenti da lui - gli avrebbero consentito, non il buon gusto, non la realtà dello stile, in lui molto caotico.

Qualche semplificatore dei drammi umani se la cava per oggi con il duello fra i portieri del Napoli e dell’Inter, che è il modo più barbino di eludere i veri argomenti calcistici. Il dramma di Zenga (da lui stesso provocato) merita invece considerazione unicamente per le incidenze possibili sull’atmosfera psicologica della partita. La quale è classica solo dal giorno in cui il Napoli ha vinto il suo primo scudetto: negandogli classicità prima di quell’evento in libro d’oro, correvi il rischio che qualche coglioncello ti tacciasse di razzismo. Una vera barba. Visto l’ultimo Napoli, dovrebbe espugnare San Siro in un canter, che come termine ippico sta per disinvolta facilità nel galoppare. E' tuttavia probabile che a Bianchi venga a mancare Romano (mentre scrivo, il ragazzo ha appena sgambato e calciato sul terreno di Monza). L’interno è prezioso per i collegamenti, attuati in piena modestia, fra i virtuosi d’attacco e i focosi draghi del centrocampo: ma certo non è lui il pilone portante della squadra. Il Napoli potrebbe non avvertirne l’assenza, tuttavia capace di autorizzare Bianchi a star più sulle sue. Che se l’Inter vuol vincere, si faccia pure avanti! L’atteggiamento tattico sarebbe pericoloso anche sotto l’aspetto estetico: ma Bianchi è un lombardone pragmatico, per l’estetica ci rimanda ai Musei artistici. D’altronde, l’Inter non è capace di contropiede se non in Ciocci, che è tuttora piccola entità. Il resto della squadra è costretto a portar palla: gli sono inibiti gli affondi perentori. E questo spiega la precarietà della classifica. Visto come si sono messe le cose dopo l’imparabile gol rimediato dall’Espanyol, sarà bene che i benamanti cambino modulo nei confronti di Zenga. Io mi auguro, per la stima che porto all’atleta, in verità magnifico, che il ragazzo si superi a vantaggio suo e della squadra. La quale è nettamente inferiore sul piano tecnico-tattico e può solo cavarsi d’impaccio con l’agonismo, ovviamente a patto che rimanga nei limiti della liceità sportiva. Ora, per sperare in tanto miracolo, bisogna far sentire che si è sempre con la squadra. Se si è schifiltosi sui modi, non si ottiene che l’effetto opposto: cioè il trionfo della squadra campione, assistita a San Siro non meno della diva Juventus. O non si è detto che Milano è la seconda città della Campania?

I dioscuri
Non si profilasse anche il dramma dell’Inter, precipitata troppo in fretta per non far pensare che possa ritrovare una valida spinta verso l’alto, la partita più allettante sarebbe Sampdoria-Roma. I doriani sono ai vertici dell’entusiasmo: nessuno dubita che proprio da loro vengano gli assalti più temibili ai campioni del Napoli. Boskov fa ariosi paragoni con il Real e nessuno lo richiama a più pedestre realismo. Vialli è maturato a fama internazionale e con lui si sta lanciando il dioscuro Mancini. Il centrocampo si regge sul genio antico di Cerezo. La difesa è gagliarda (e finalmente ritrova Vierchowod). Liedholm fa balenare l’esigua speranza di riportare Pruzzo nel suo terremotato Marassi. Verosimilmente ripeterà l’atteggiamento tattico sfruttato con l’Inter: e mirerà a non perdere. Per distogliere da sé i fastidiosi sospetti ingenerati dallo scirocco, i doriani dovrebbero vincere in bellezza. Mancassero la vittoria, i sospetti finora dissipati solo in parte rifiorirebbero molto sgradevolmente. Auguri. Tutto sommato, sembra questa una giornata favorevole alla farraginosa rincorsa della Juve, i risultati della quale sono per fortuna largamente superiori alle chiacchiere fondate sui rimpianti. Rino Marchesi ha censito i suoi prodi e adesso li fa giocare secondo scrupoloso raziocinio. L’imperativo categorico è vincere: per riuscirvi, bisogna che i serventi al pezzo si ricordino di Ian Rush. Per il momento, l’Ascoli è la provinciale più bella e meglio guidata.

Il Milan ritrova Massaro dopo aver perso Evani. Arrigo Sacchi ha molto sofferto l’Espanyol ma ha trovato comprensione in Capitan Berlusconi e in Fidel, sua eminenza rosa (pezzo forte del duo: je vois la vie en rose - justement!). Arrigo parla di calcio con le vibrazioni segrete dell’apostolo. Lo stanno prendendo sul serio anche i giocatori più distaccati. Sintesi conclusiva: predica pure da offensivista ma non prender gol. In effetti la difesa è imperiale e Baresi II ricorda quel che si disse del Pepin Meazza a Parigi nel ‘38: c’est un grand peintre du football. Fra il Milan e la Samp è in corso l’allungo per entrar primi nella scia più vicina del Napoli. Difficile stabilire se la Roma a Marassi sia meno temibile dell’Empoli a casa sua. Verona, Fiorentina e Torino visitano campi minati, dove ogni pedata esprime rabbia. Per il Como sono pronte anche le forche irpine, un tempo così severe da far chinare il dorso a tutti. Vediamo come se la cavano grandi e piccole. La domenica si profila memorabile. Ed io, modestamente, l’auguro buona a tutti.

"La Repubblica", 29 novembre 1987

Coppe europee: terzo turno Uefa e Supercoppa (andata)

Il nuovo ragazzo prodigio
dell'Ajax
Tra il 24 e il 25 novembre 1987 si giocano le partite di andata della Supercoppa d'Europa e degli ottavi di Coppa Uefa. Ad Amsterdam, il Porto vuole onorare il suo fresco blasone, contro uno dei club più gloriosi del continente ma che ha ceduto (a parametro) il suo più limpido talento: Marco Van Basten. I lancieri hanno in panca Cruijff e in attacco - insieme all'affidabile Bosman - una giovane grande promessa: Dennis Bergkamp. La competizione, oltre ad avere poco senso tecnico, non sembra neppure riscuotere particolare interesse. E la sua 'calendarizzazione' non aiuta.

Di fatto più ruspante è, in questi anni, la Coppa Uefa (teoricamente la terza per ordine di importanza). Sono rimaste in lizza, per l'Italia, Inter e Verona, che in campionato galleggiano - l'Inter fra mille polemiche - a metà classifica. I nerazzurri se la vedono coi giustizieri del Milan (l'Espanyol di Barcellona), mentre al Verona è toccato lo Sportul di Bucarest, avversario decisamente più morbido. Le partite più interessanti, sulla carta, a Dortmund e a Rotterdam, se si esclude San Siro. Facile turno per il Barcellona; curiosità per vedere come se la cavano i greci a Budapest, dopo aver eliminato nientemeno che la Juventus.

Kálmán Kovács: quaterna ai greci. Basterà?
A San Siro è un pareggio, con gol catalano di centrocampista danese a dieci minuti dalla fine; unico tiro in porta, per aver incassato il quale Walter Zenga viene insultato dalla tifoseria bauscia. Tra Matteoli e Scifo, il buon Trap sceglie l'italo-belga, e la maglia numero dieci finisce sulle spalle di Mandorlini ... ("A proposito di Scifo: corre dappertutto e si impegna molto, ma i risultati qualitativi non sono pari alle attese": Gianni Mura, La Repubblica). Al Bentegodi, il primo tempo è dominato dagli uomini di Bagnoli, che vanno avanti di due gol con ritmo e frenesia. Poi, improvviso, un fulmine a ciel sereno; una botta dalla distanza di Coras rimette la partita dei rumeni su un binario accettabile. "Quando molto sembra compromesso, Elkjaer trascina la sua poderosa mole dentro l' area a caccia di un pallone che danza senza padroni" (Giancarlo Padovan, La Repubblica). Viene atterrato, e dal dischetto fissa un buon tre a uno.

Tabellini e (quando disponibili) riflessi filmati

Supercoppa europea (andata)

Ajax - Porto
Cineteca


Coppa Uefa - ottavi di finale (andata)

Borussia Dortmund - Club Brugge
Tabellino | HL

Honved - Panathinaikos
Tabellino | HL

Werder Brema - Dinamo Tbilisi
Tabellino | HL

Verona - Sportul
Tabellino | HL

Feyenoord - Bayer Leverkusen
Tabellino

Inter - Espanyol
Tabellino | HL

Barcellona - Flamurtari
Tabellino

Vitoria Guimaraes - Vitkivuce
Tabellino

Quanti alibi nel momento più brutto di una carriera

di Gianni Mura

Con soli 9 punti dopo 9 giornate l'Inter è ufficialmente dichiarata in crisi, e la colpa ricade, ovviamente, su Giovanni Trapattoni ... Un film già visto, e che si rivedrà. Gianni Mura traccia un quadro oggettivo della pochezza del gioco e soprattutto della assenza di qualità di una rosa invecchiata, senza uomini di carisma, piena di troppi giocatori che "hanno i piedi a banana". La squadra gli appare "da rifondare senza illusioni, dando la buonuscita a circa mezza rosa". Ramazza ma non esonero. Così fu, infatti, e la stagione successiva arrivò lo scudetto dei record ...

I silenzi, i richiami alla compattezza dell’ambiente, il mercoledì che deve riscattare la domenica: è un film già visto ma di chi è la colpa se l’Inter continua a produrre delusioni alternate a qualche sbrilluccichìo. La colpa è del signor Trapattoni da Cusano, secondo molti. Hai voluto la bici? E allora pedala. Forse è questo il peggior momento della carriera del Trap, ma non è un buon motivo per dimenticare tutta la carriera. Riassumo, al di là di numeri che gli danno ragione: per dieci anni abbondanti Trapattoni è stato non un allenatore italiano ma l’allenatore italiano. Il più vincente, il più intoccabile, il più italianista. Grazie, diceva una parte d’Italia, con Boniperti presidente e gli Agnelli dietro, di fare l’allenatore della Juve son capaci tutti. Mica vero. All’Inter, pur essendo uno stipendiato, il Trap è poliedrico, una sorta di allenatore-padrone, nel senso che gli si riconosce esperienza e carisma per bilanciare una concorrenza cittadina (Berlusconi) non facile da affrontare. Per buona parte dello scorso campionato il Trap cava sangue dalle rape, fra cento contrattempi (infortuni a catena) e insomma si guadagna la michetta, come si dice a Milano. Il suo carisma funziona ancora, l’Inter, finché dura, è l’anti-Napoli. E del Trap i bene informati continuano a parlare come futuro tecnico azzurro (Vicini avrà tempo fino agli Europei). E veniamo ai tempi attuali.

L’Inter è a sette punti dal Napoli e realisticamente può solo pensare alla zona Uefa (se si rimette in carreggiata). Benedetta e maledetta per le sue pazzie (l’incostanza è l’unica costante nerazzurra di questi ultimi anni), l’Inter è oggi una squadra che riesce a far sembrare fortissimi e ben messi in campo tutti gli avversari, si chiamino Pescara o Besiktas, Ascoli o Turun. Per non accorgersi delle difficoltà oggettive della squadra, bisognava avere gli occhi coperti dalle sacre bandiere. In coppa Italia, solo una vittoria col Catania (serie C), in Uefa gare stentatissime, in campionato tre vittorie su nove partite. L’italianista Trapattoni critica per due mesi chi critica la coesistenza Scifo-Matteoli, ma adesso si allinea. Due così potrebbero anche stare insieme, se a centrocampo ci fossero due ex interisti come Bagni e Sabato (per dire), o il miglior Tardelli e il miglior Baresi, non questo Baresi che da troppo tempo corre per sé e gli altri. La grande difesa, tutti azzurri o quasi, fa acqua e dorme della grossa sulle palle inattive. Quando non subisce per prima (è già successo una decina di volte, nella stagione), l’Inter non riesce a difendere il minimo capitale del gol (come a Roma). Il realismo della Juve trapattoniana confinava col cinismo, grazie a un perfetto contropiede. Ma l’Inter non sa fare contropiede e nemmeno sa chiudersi, e in mezzo al campo balla alla musica degli altri. 

È una squadra nata male sul mercato: l’idea buona era prendere Gritti, che non ci è stato. L’idea meno buona è stata quella di tenere un altro anno Passarella, che non fa più la differenza e nemmeno fa gruppo. Sotto questo aspetto, l’ultimo collante a presa rapida è stato Marini, poi il buio. Altobelli è il capitano, è Spillo nostro, ma non è un leader. Poteva esserlo Zenga, che se ne va. C’è troppo nervosismo in squadra, al di là della mancanza di risultati. Ultimo esempio il fallaccio di Serena su Giannini, ma significativo anche il mezzo litigio Altobelli-Passarella per stabilire chi dovesse battere un inutile rigore all’Olimpico. Più che Nobile e Piraccini, come alternative, il Trap non ha. Fischia e si sbraccia dalla panca, ma la banda continua a steccare. Non esiste che l’Inter in nove domeniche becchi gli stessi gol dell’Empoli, più gol di Cesena e Como? Esiste sì, i numeri sono lì a dirlo. 

L’errore fondamentale dell’Inter (di Pellegrini e anche di Trapattoni) è di aver pensato che i miracoli e il sangue dalle rape si possano replicare ad libitum. Nossignori. Le crepe si sono allargate: Altobelli, per una partita lucente, ne fa tre buie, Passarella non poteva, anagrafe alla mano, acquistare tonicità, e ha pure perso zolfo, lo spogliatoio è tutto meno che unito, e quando fa finta di unirsi è per convenienza, non per convinzione. Dei titolari azzurri, in difesa, Zenga ha i suoi problemi, che l’Inter ma anche lui potevano gestire meglio, Bergomi dà spesso l’impressione di essere rimasto a Madrid ‘82 arricchendo il suo bagaglio più di nervosismo che d’esperienza, mentre Ferri è sicuramente progredito, non a caso è stato uno dei pochi a salvarsi a Roma. Ma Roma è solo l’ultima tappa per la bici che Trapattoni ha voluto e spesso ha le gomme sgonfie, l’ultima giornata da segnare col sassolino nero. Sul piano dell’immagine personale, Trapattoni è quello che rischia più di tutti. La verità è che, con o senza il Trap, l’Inter è una squadra da rifondare senza illusioni, dando la buonuscita a circa mezza "rosa". L’unico impegno serio, per ora, è quello di non smobilitare. Poi, ramazza. E un consiglio: prendere piedi buoni. La prevedibilità e la macchinosità dell’Inter dipendono dal fatto che troppi giocatori hanno i piedi a banana. Vogliamo crocifiggere il Trap perché non esce allo scoperto? Ma via, con questi eroi lui deve arrivare a giugno ...

"La Repubblica", 24 novembre 1987

Caro Napoli, vai troppo forte

di Gianni Brera

Con stizzita amarezza el Gioânn constata che nella Beneamata "è aggallata con inusitata protervia" la "broccaggine mesta": quando sei costretto ad affrontare la Roma con Piraccini al posto di Scifo "la resa tecnica è mortificante". Come quella del centrocampo cui si è ridotta la Juventus: "Cosa vorreste in effetti da Bonini, De Agostini e Magrin? Menano il torrone con le palette che hanno". Per questo non può non impressionare il Napoli, "saccheggiatore di reputazioni", che veleggia ad alta quota in attesa di incontrare le immediate inseguitrici.

"Serena ogni montagna ..."
Celebrata la IX di campionato. Napoli primo con 16 punti sui 18 in palio; Milan e Samp appaiate sul secondo gradino a quota 13; Juventus e Roma appaiate sul terzo a quota 12; Verona e Fiorentina a 10; Inter a 9. Tanta goduria aritmetica per mettere in evidenza un fatto triste assai: l’estromissione dell’Inter dalla lotta per lo scudetto. La tecnomanzia estiva la proponeva addirittura campione con la Samp. Evidentemente gli astri non hanno congiurato e la broccaggine mesta è aggallata con inusitata protervia. Dà ora il groppo in gola il semplice ricordo dello sdegno con cui certi benamanti, votati più all’amore che alla ragione, accoglievano le critiche ad Altobelli. Pensa quello che vuoi di Ernesto Pellegrini, così fiducioso da concedere all’ineffabile centravanti un contratto fino al 90. E torna a pensare identiche squisitezze sulla reinvenzione di Serena-ogni-montagna (per l’ossessivo ricordo d’un gran verso leopardiano). Aveva l’Inter una difesa di classe mondiale: oggi figura a livello di quella ascolana. Il suo prestigio è minato da un centrocampo labile come il nulla, nel quale il solo a saper conquistare palla è Baresi I, semplice e probo. Il tasso stilistico è passabile solo quando Scifo è della partita. A Roma c’è Piraccini: la resa tecnica è mortificante. Così stravince la Roma e tiene le prime ruote. La media inglese dell’Inter è -5, che è anche quella del Torino giovane. Alla Roma della IX mancavano i due centravanti, Voeller e Pruzzo. La larga vittoria è garanzia per l’avvenire. Nella memoria fin troppo avara dell’Inter cresce l’immagine rozzamente delinquenziale del candido (?) Serena, che un raptus inammissibile porta a camminare sul corpo inerte di un collega. Questo e non altro significa dar fuori da matto.

Impressiona il Napoli, saccheggiatore di reputazioni. Per consolarci, dobbiamo controllare il calendario, che riserba tuttora ai campioni le vere protagoniste. In effetti è quasi impensabile che il ritmo rimanga questo, ottenuto e imposto alle minori del convoglio. Allora avremo conto esatto o quasi delle possibilità presenti e future del Napoli. Il Torino aveva speso generose folate nei primissimi minuti: poi l’ha malamente sgarrettato una punizione "a forma di falce" che Maradona ha cavato dal suo prodigioso collo interno sinistro: la palla ha volitato sostenendosi appena: ha aggirato la barriera e ambiguamente si è posata nell’angolino opposto! Quando si hanno in squadra simili demiurghi, nulla sembra impossibile. Il Torino conferma - insistendo - di aver cuore. Un lungo diagonale di Bagni verso Giordano ala sinistra perpetra addirittura la castrazione (dopo lo sgarrettamento). Giordano volge le terga alla palla: di tacco la controlla e anima di un tocco a ritroso che è anche prodigioso inizio di dribbling: al posto di Careca, autore di coppiola, anch’io avrei segnato, e con distacco sublime. Ora aspettiamo il Napoli agli esami più duri. Il suo tono attuale è spaventoso: e Maradona gioca solo a intermittenze felici. Quando fosse continuativo il suo impegno, nessuno può dire dove arriverebbe il Napoli. 

L’incontro di cartello era a Firenze. La Samp ha dato viva soddisfazione a chi l’aveva diffidata dallo sfiatarsi per immediate incontinenze dinamiche: il Napoli pedala in testa e spetta a lui bucare il vento: la Samp gradui gli sforzi e non rischierà di scavezzarsi i garretti. Proprio così ha fatto la Samp a Firenze. Un primo tempo splendido per l’apporto di tutti, viola compresi. Un autogol da affanno troppo concitato (in Paganin, sostituto di Vierchovod): un pareggio persino ribadito da Cerezo. Vialli tornato allo standard di goleador un po' velleitario: segnasse pure, anche senza le prodezze di Napoli, non avrebbe eguali al mondo. Eriksson molto lieto - dopo il meritato pareggio - di poter esaltare nella Samp e nel Milan le sole degne avversarie della squadra campione. 

Preben Elkjær Larsen, capocanniere con 6 reti
La Juventus manda Brio a sfruttare in gol due rifiniture (una sicuramente volontaria) di Laudrup. L’attacco bianconero langue in attesa di Rush, che ha preso a denunciare insofferenza. Quando lo vedi smarrito e lontano, non pensare male di lui. Ha provato millanta volte a scattare quando il centrocampo aveva palla: non l’ha mai vista arrivare: si voltava allora per sapere cosa ne facevano i centrocampisti: la stavano facendo marcire in tocchi laterali, eufemisticamente chiamati aperture! Cosa vorreste in effetti da Bonini, De Agostini e Magrin? Menano il torrone con le palette che hanno, come gli interisti di Roma. Il Cesena risponde alla Juve con Rizzitelli, che fa pallonetto sopra Porthos Tacconi come Preben Larsen sopra Zinetti del Pescara. Per azzeccare queste prodezze (anzi, solo per tentarle) bisogna aver dentro l’uranio! Ora la classifica ancor possibile della Juve, se non altro volonterosa e diligente, rischia di venir compromessa da uno sgarro d’inciviltà. Avrete sentito del petardo: camminando nel tunnel di canapa che porta agli spogliatoi, Sanguin ha avvertito il botto. Nessuno può dire in qual misura. I medici delle Molinette hanno fatto sottile ironia sulla prognosi: a Sanguin hanno riconosciuto un giorno, pensa lo sfracello timpanico! Diverso il caso di Renica a Pisa: ma se il Cesena asserisce di aver dovuto giocare senza Sanguin e l’arbitro ha visto svolgersi da presso il fescennino, anche il giudice sportivo gli deve credere. Dipenderà tutto da quel che riferisce l’arbitro Paparesta. Quanto all’atteggiamento del Cesena, anche voi lo avreste assunto, se aveste vinto una sola volta su 9. 

Ho sentito magnificare il Milan, vittorioso per 3-0 sull’Avellino. Sono contento che non sia stato al gioco Capitan Berlusconi, presente con il fratello e il mite Fidel. Il Milan non ha giocato per niente da squadrone. Per tutto il primo tempo ha lasciato spazio all’Avellino, che ha barbinamente sciupato - due volte! - il gol dell’1-1. Gullit si è mosso da energumeno felice, vanamente cercando triangoli con Virdis, frenato dalla storia e dalle antiche varici. Visti fratelli cacciaviti insorgere e maledire per la disperazione. La sola difesa all’altezza (superbi atteggiamenti stilistici di Baresi II, da riprendere solo quando porta palla e chiede triangolo nel folto). Il centrocampo - invece - mica male confuso, con la sgradevole sensazione che Milan e Avellino giochino alla pari. Più nitide le due palle gol degli ospiti nel primo tempo: sciupata la prima, deposta la seconda sul ginocchio imperiale di Baresi II, che se ne serve per dar palla a Giovanni Galli: dico dalla linea di porta, non dal limite d’area! Donadoni inventa prodezza incredibilmente sciatta (2-0) compicciando il cross dal fondo sinistro con l’esterno-punta destro: ne esce una palla rachitica molto, e malata di effetti burloni: la parabola termina a cippirimerlo con due spanne di anticipo sulle manone trepide di Di Leo (quante cacofonie: più facile dire e scrivere il patronimico Leosson): e rimbalza in rete sfiorando l’altro palo. Il sinistrone da fuori di Maldini (3-0) era un impulso già sprecato da Ancelotti, che qualche tapino ha visto migliore in campo. Nessuno ha ammirato le finezze di Tassotti, un dì tremendo scarpon, oggi stilista raro? Tre partite dimentico: tutte importanti molto più che belle. Visti bei gol ad Ascoli e Verona, altri più strani ma utili nella pragmatica Como. Qui il mio spazio è finito, e anche la voglia di favoleggiare. Chiudo.

"La Repubblica", 24 novembre 1987

9ª giornata

22 novembre 1987, ore 14:30

Massimo Giannini festeggia il suo gol sotto la curva
Sembra inarrestabile la marcia del Napoli, che regola in casa anche il Torino e allunga sulle immediate inseguitrici, in attesa di cominciare il ciclo che le opporrà alle medesime: buono, al San Paolo, il ritmo di gioco, con perle lanciate da Maradona (splendida punizione ad aggirare la barriera) e da Giordano (giravolta, tacco e assist per Careca). La Sampdoria lascia un punto al Comunale di Firenze, in una bella partita, con numerose azioni da rete ma due soli gol, per giunta un po' gollonzi. Quatto quatto aggalla al secondo posto il Milan di Sacchi & Berlusconi che, senza incantare, batte agevolmente l'Avellino a San Siro: solite grandi corse di Gullit, e gran bel gol di Maldini da fuori area. Nella partita di cartello all'Olimpico prevale la Roma, pur priva di Voeller e Pruzzo, su un'Inter sempre più in crisi di gioco e di risultati (ormai è a -7 dalla capolista e può dire addio ai sogni di scudetto): il match è combattuto e, come suol dirsi, "maschio", con Fanna e Serena che passeggiano su Giannini steso a terra. Al Comunale di Torino volano invece i petardi al rientro negli spogliatoi per la pausa e il Cesena denuncia il trauma ai timpani, sospetto assai, di Dario Sanguin: sul campo si ammirano solo le belle iniziative di Laudrup e il ruolo che dovrebbe essere di Rush assunto ben due volte da Sergio Brio! A Verona è il Pescara a giocare in contropiede, nonostante le opposte idee di gioco dei due allenatori: domina per larghi tratti il Verona, grazie al ciclopico Preben Elkjær Larsen che sbaglia un rigore ma poi arrotonda il risultato vittorioso e si erge in testa alla classifica dei cannonieri. Muovono la classifica Ascoli e Pisa che si spartiscono la posta al "Cino e Lillo Del Duca" in una bella partita giocata a tutto campo e impreziosita da due bellissime reti bianconere: gran punizione di Casagrande e splendida bycicleta di Domenico Agostini, al gol della sua carriera. Cinque infine le segnature al "Giuseppe Sinigaglia" di Como, ma la partita non è stata un gran che: servivano i punti e i lariani li hanno portati a casa, lasciando gli empolesi in fondo all'abisso della classifica.

Risultati

Ascoli - Pisa 2:2 | (0:1) - Tabellino - HL
Como - Empoli 3:2 | (2:0) - Tabellino - HL
Fiorentina - Sampdoria 1:1 | (1:1) - Tabellino - HL
Juventus - Cesena [2:1], poi 0:2 a tavolino | (0:0) - Tabellino - HL
Milan - Avellino 3:0 | (1:0) - Tabellino - HL
Napoli - Torino 3:1 | (2:0) - Tabellino - HL
Roma - Inter 3:2 | (2:1) - Tabellino - HL
Verona - Pescara 2:0 | (1:0) - Tabellino - HL

Classifica

16 Napoli
13 Milan
13 Sampdoria
12 Roma
10 Fiorentina
10 Juventus
10 Verona
9 Inter
8 Ascoli
8 Torino
7 Como
7 Cesena
7 Pescara
6 Pisa
3 Avellino
0 Empoli  *
* 5 punti di penalizzazione

Marcatori

6 reti: Elkjaer-Larsen (Verona),  Polster (Torino)
5 reti: Boniek (Roma),  Scarafoni (Ascoli),  Schachner (Avellino)
4 reti: Corneliusson (Como),  Mancini R. (Sampdoria),  Maradona D. (Napoli),  Serena (Inter)
3 reti: Altobelli (Inter),  Bagni (Napoli),  Careca (Napoli),  Casagrande (Ascoli),  Cucchi E. (Empoli),  Diaz (Fiorentina),  Ekstroem (Empoli),  Giannini (Roma),  Pacione (Verona),  Rush (Juventus),  Virdis (Milan)

Prossimo turno (29 novembre 1987, ore 14:30)

Avellino - Como | Cesena - Verona | Empoli - Milan | Inter - Napoli | Juventus - Ascoli | Pescara - Torino | Pisa - Fiorentina | Sampdoria - Roma